domenica 10 novembre 2013

Il Gusto del Delitto


Nome: Il Gusto del Delitto

Autore: Graham Walmsley

Editore: L'autore stesso, per quanto riguarda la lingua originale; in italiano è edito da Narrattiva

Data di Pubblicazione:
2009 in lingua originale, 2010 in italiano

Prezzo: Edizione cartacea in italiano: €19.90; edizione in PDF in lingua originale $9.00
Graham Walmsley, personaggio relativamente noto alla comunità italiana legata ai giochi di ruolo moderni, essendosi presentato per ben due volte a convention locali, quali la GnoccoCON 2010 e l'edizione invernale dell'Etruscon 2013, è l'autore di questo lavoro che già da anni circola in italia per merito dell'editore italiano Narrattiva.

Il Gusto del Delitto, noto in lingua originale come A Taste for Murder, non è la sua opera più nota. In effetti la sua notorietà è per lo più legata allo spesso citato libro Play Unsafe, una sorta di guida all'uso di tecniche di improvvisazione teatrale nel gdr, e a una certa produzione legata a giochi di ispirazione Lovecraftiana, primo tra tutti Sulle Tracce di Cthulhu, per il quale ha scritto numerosi scenari, di cui nessuno, credo, tradotto in italiano. Peraltro sua è l'opera Stealing Cthulhu, una guida ai giochi di ruolo basati sulle opere di Lovecraft, che include il suo mini-gioco Cthulhu Dark, della quale esiste una versione tradotta che è più o meno ufficiale, inclusa nel pacchetto assegnato agli ospiti dell'InterNosCon 2011. Per quanto non abbia effettivamente fatto molto a livello di produzione ludica, il suo è un nome che spesso emerge nel dibattito del gioco di ruolo moderno. Lo stesso Haunted, da me recensito la settimana scorsa, è stato scritto da Nathan D. Paoletta su consegna di Graham (credo che la possibilità di commissionargli un gioco fosse una ricompensa della campagna di Kickstarter per un altro mini-gioco di Nathan, ovvero Witness the Murder of Your Father and Be Ashamed, Young Prince), e in ogni caso Graham è una figura piuttosto attiva per quanto riguarda il dibattito online circostante il design dei giochi di ruolo.

Il Gusto del Delitto si rifà a un certo tipo di letteratura, ovvero il giallo classico in stile Agatha Christie, quello in cui nell'Inghilterra del primo Novecento qualcuno viene ammazzato, e arriva un investigatore borghese a sgamare il colpevole. Il modello narrativo di riferimento, tuttavia, viene qui sapientemente rielaborato dall'inglesissimo autore. Mentre i racconti di Poirot o di Miss Marple, da quel che mi risulta (non ho mai letto nessun racconto del genere, ho solo visto le serie tv) seguono semplicemente le indagini dell'investigatore di turno, in questo caso il gioco pone l'accento sui rapporti personali che intercorrono tra i vari sospettati. Il sottotitolo del gioco infatti è "Un gioco di relazioni mortali", e l'idea è quella di scavare tra le relazioni dei personaggi coinvolti nelle indagini, allo scopo di tirarne fuori lo schifo sottostante.

Il setting infatti è attentamente studiato: i personaggi, con la sola eccezione dell'investigatore, sono tutti legati ad una famiglia della campagna inglese del 1930. C'è il lord, la signora, la servitù, i vari figli (spesso problematicamente incastrati in ruoli sociali che non sentono più come propri), eventuali ospiti, parenti vari... tutti loro si atteggiano come se si volessero bene e tutto fosse stabile. Tuttavia nelle scene del primo Atto (il gioco è diviso in tre Atti) i giocatori, ognuno alla guida di un personaggio, cominceranno a mettere alla prova le relazioni tra i personaggi. Emergeranno dunque rancori, amori nascosti (e, spesso, adulteri, quando non addirittura incestuosi o sodomiti), pianificazioni e in generale una certa accidia.

Ogni personaggio è determinato da una serie di riserve di dadi, una per ogni altro personaggio al tavolo. Ognuna di queste riserve indica quanta influenza il personaggio vanta sul personaggio a cui quella riserva è assegnata. Tra i vari personaggi ogni giocatore distribuisce un totale di 6 dadi, e assieme a ogni altro giocatore stabilisce quale sia la relazione che intercorre tra i due rispettivi personaggi.

Si comincerà dunque a giocare, a partire da un primo atto in cui queste relazioni verranno stressate: l'atto è infatti una sequenza di due round, in cui i personaggi, inizialmente raggruppati in un'unica scena corale in cui sono tutti presenti, si chiamano progressivamente da parte a due a due (solo in fiction: al tavolo si sta tutti seduti assieme e nessuno si prende da parte) provando ad "influenzarsi", ossia a imporre la propria volontà l'uno sull'altro. I dadi che verranno tirati per stabilire se uno dei due personaggi riuscirà a imporsi sull'altro sono i dadi influenza assegnati alle varie relazioni durante la creazione del personaggio, più una coppia di dadi, il dado bianco e il dado nero, che si muovono lungo una coppia di "ruote" che indicano due temi che i giocatori sono tenuti a portare in gioco: se un giocatore mette in gioco il tema indicato dalla ruota del dado bianco, riceverà il dado bianco; lo stesso dicasi per il dado nero.

Tutti i giocatori tirano un numero di dadi pari all'influenza che hanno sul personaggio che sta venendo influenzato, tranne questi, che tira i dadi influenza che ha verso il personaggio che lo sta influenzando. Il vincitore è quello che ottiene il singolo dado col risultato più alto; i pareggi vengono spezzati in maniera tale che i giocatori coinvolti nel conflitto siano più portati a vincere se hanno il dado bianco o il dado nero, il che li spinge efficacemente a portare in gioco i temi proposti dalle due ruote. Chi vince sceglie se il tentativo di influenza ha successo.

Dopo che tutti i giocatori hanno fatto un tentativo di influenza il round termina, e si passa ad una nuova scena corale, ambientata non molto più in là dal punto di vista temporale (potrebbe essere ambientata più tardi nella scena giornata del round precedente, o qualche giorno dopo, oppure potrebbe essere immediatamente successiva), dove di nuovo ogni personaggio prova a influenzare qualcun altro.

Terminato questo secondo round, c'è un intermezzo in cui ogni giocatore scrive il nome di chi vorrebbero vedere morto su un foglietto. Dei vari foglietti ne viene estratto uno, e il nome scritto su di esso è il personaggio che viene ammazzato. Il relativo giocatore decide come viene trovato il cadavere, e come l'assassinio pare essere avvenuto.

Si passa così al secondo atto, in cui il giocatore a cui è morto il personaggio gioca l'ispettore Cross, l'inviato di Scotland Yard incaricato di scavare tra i segreti della famiglia e sgamare il colpevole del misfatto.

Il gioco non è però un gioco investigativo nel senso usuale del termine: le meccaniche sono infatti costruite in modo tale che ogni personaggio (non solo Cross) abbia la possibilità di porre domande agli altri circa i loro rapporti con la vittima e "rivelare cose brutte" a riguardo, con delle meccaniche fondamentalmente uguali a quelle del primo atto: da una scena corale si distaccheranno progressivamente coppie di personaggi che proveranno a influenzarsi o investigare a vicenda. Il meccanismo di dadi utilizzato per investigare è sostanzialmente uguale a quello usato per esercitare la propria influenza, e ogni volta che un personaggio verrà investigato con successo sarà obbligato a rivelare qualcosa di scottante, decadente, doloroso e sporco circa i suoi rapporti con la vittima. Questo non fa altro che approfondire la relazione che egli aveva col morto; non è un'indagine vera e propria perchè chi investiga non va in giro cercando indizi per scoprire chi sia il colpevole, ma si limita a fare domande in giro per "rivelare cose brutte" sui rapporti interni alla famiglia.

La terza volta che un personaggio viene investigato dovrà incorporare nella propria rivelazione qualcosa che includa anche il movente per l'omicidio. Quando due personaggi hanno un valido movente, il giocatore di Cross fa il punto della situazione, e ognuno dei due giocatori personaggi incriminati fa una sorta di arringa difensiva per giustificare il proprio personaggio e dimostrare che non è lui il reale colpevole. Si effettuerà poi un ultimo tiro di dadi il cui vincitore deciderà chi dei due sia stato ad uccidere il poveraccio. Questi ammetterà le proprie colpe, per poi essere portato via da Scotland Yard.

PRO:
- Meccanica estremamente semplice, che rende Il Gusto del Delitto adatto anche a un pubblico di neofiti, cosa peraltro dichiarata sul retro del manuale dalla stessa casa editrice;
- L'accuratezza storica al momento di giocare non è necessaria, ma per quelli interessati a trattare la fiction in maniera più storicamente accurata è previsto un lungo appendice (occupa circa metà del manuale), che analizza lo scenario storico-sociale proposto dal gioco;
- Regole scritte in modo chiaro...

CONTRO:
- ...anche se in maniera molto lineare e poco adatta alla ricerca al volo: la suddivisione in paragrafi non è strutturata benissimo, e l'assenza di un sommario non aiuta, il che è curioso, considerato che in passato ho criticato altri manuali di Narrattiva per avere il solo sommario e non anche l'indice analitico, che qui comunque non è presente nè necessario;
- Certe fasi non sono forse trattate a sufficienza dal manuale: il finale della partita in particolare è dato un po' per scontato, quando in verità le esatte meccaniche da seguire non sono affatto chiare e sono un po' da "presumere".

SINTESI:
Non sono un gran fan dei temi proposti dal gioco, ma devo dire che Il Gusto del Delitto fa piuttosto bene il proprio lavoro, e le mie impressioni sono sostanzialmente positive. Peraltro, le partite che ho fatto sono state molto divertenti. Le regole sono semplici e scorrono in modo estremamente leggero, tranne in un paio di punti in cui c'è da fare particolare attenzione a qualche passaggio che, se non seguito bene, è in grado di compromettere il buon esito della partita, segno che le regole, per quanto leggere, sono comunque ben studiate e di grande impatto sul gameplay. Un paio di punti potrebbero essere affrontati meglio dal regolamento, ma non sono problemi cruciali e personalmente mi sento di consigliare questo gioco pressochè a chiunque possa essere lontanamente interessato a un gioco privo della solita frenesia, ma che si prende il tempo di scavare tra i rapporti tra le persone, rivelando il marcio che talvolta vi si nasconde.

mercoledì 23 ottobre 2013

Haunted


Nome: Haunted

Autore: Nathan D. Paoletta

Editore: NDP Design

Data di Pubblicazione:
28 Agosto 2013

Prezzo: $2.00 (che sono una donazione al Shanti Bhavan's Children's Project)
Nathan D. Paoletta, già autore di giochi di successo come Carry. A game about warAnnalise, si è ultimamente dedicato a questo piccolo ma interessante gioco da one-shot, che serve a raccogliere fondi per il Shanti Bhavan's Children's Project, un'associazione la cui missione è quella di portare educazione di alto livello ai bambini indiani appartenenti alle caste più basse, estremamente svantaggiati dal punto di vista sociale, in maniera tale che essi abbiano un giorno la possibilità di dedicarsi senza difficoltà alla carriera che preferiranno.

Il gioco per il resto non ha nulla a che vedere con lo scenario indiano. È anzi un gioco di ruolo semi-competitivo in cui i giocatori finiranno per creare una storia horror, di quelle in cui la gente si ritrova a dover affrontare sè stessa per scappare da un qualche luogo da incubo. La fiction a cui aspira è qualcosa tipo Allucinazione Perversa, oppure una versione horror del franchise di Una Notte da Leoni, oppure qualcosa di simile ai film migliori della serie di Saw (ho visto solo i primi tre; mi hanno detto che dopo diventano la peggio porcata. Peccato, il terzo era bellissimo).

In pratica i personaggi sono individui che si risvegliano in punti sparsi di questa casa, e hanno una sorta di "buco di memoria" tale per cui non hanno idea di cosa sia questo posto, del perchè ci siano finiti, e di che cosa vi si nasconda. Mano a mano che esploreranno la casa, si troveranno a scoprire cose su loro stessi: scopriranno di che cosa hanno paura (perchè in ogni caso c'è qualcosa che gli impedisce di lasciare la casa, qualcosa che là fuori è probabilmente peggiore di quanto potrebbero trovare qui dentro), scopriranno che cosa è accaduto tra queste pareti, e quando infine (ed eventualmente) lasceranno la casa ricorderanno qualcosa su loro stessi, ed eventualmente porteranno qualcosa con sè.

Dal punto di vista meccanico, ogni personaggio è identificato da tre valori (Corpo, Volontà, Paura) che indicano se e in che modo egli sarà in grado di uscire da questo posto. A un mazzo di carte spetterà invece il compito di gestire la casa: il gioco è a turni, e durante il proprio turno un giocatore deve fondamentalmente aprire una porta per entrare in una stanza adiacente alla propria. A questo punto verrà estratta una nuova carta, che sarà posta sul tavolo nel punto in cui si è mosso il giocatore. Una coppia di tabelle indicherà gli effetti regolistici della carta. Di solito ci sarà da operare un cambiamento nelle statistiche del personaggi, o da rispondere a una domanda. Il "giocatore della casa", quello alla sinistra del giocatore attivo, si occuperà di descrivere i particolari della nuova stanza, basandosi sulle caratteristiche meccaniche e descrittive riportate nelle tabelle, e il giocatore attivo avrà la possibilità di aggirarvisi prima di passare il turno.

Qui devo dire che il meccanismo del gioco un po' stride: a meno che i giocatori non siano davvero carichi di idee, l'esplorazione della casa diventa un po' un "raccontarsela", un'operazione un po' fine a sè stessa che non ho avuto l'impressione fosse guidata in maniera tale da fare emergere l'esperienza intima del personaggio, che ho idea dovrebbe invece essere un po' il focus del gioco: alla fine il viaggio attraverso la casa dovrebbe essere un po' un viaggio attraverso sè stessi, dato che questo luogo è costruito a partire dal lato oscuro dei personaggi («[...] this game is one where you are drawn into a house of your own creation, built from the bricks of your past and mortar of your secrets.»).

In ogni caso, il gioco và avanti fino a che una persona non riesce a uscire dalla casa (gli Assi sono le stanze che contengono vie d'uscita). A questo punto lui sarebbe da considerare il "vincitore", che in verità è una meccanica un po' buttata lì, dato che il fatto che sia il vincitore non implica niente di che a livello narrativo. Peraltro manca una vera e propria fase di debriefing: scappare non è un'impresa lunga, e se il gioco termina nel giro di pochi round credo che manchi materialmente il tempo di costruire qualcosa di sensato con questa casa, con questi personaggi, con questa trama. Il gioco diventa più interessante con le regole opzionali per allungare il gioco: una per esempio prevede che il gioco vada avanti fino a che tutti non sono scappati o intrappolati, il che è più interessante anche perchè la ricerca di un modo per ottenere un punteggio migliore spinge i personaggi a esplorare molto a lungo la casa. Questa regola opzionale dà effettivamente un senso alla meccanica della vittoria, avvicinandola alla analoga meccanica presente in Fantasmi Assassini di D. Vincent Baker, anche se l'assenza di una vera e propria meccanica narrativa di debriefing continua a farsi sentire.

Il gioco resta senz'altro divertente, comunque, specialmente se i giocatori si lasciano ispirare dal loro eventuale parco di conoscenze pop, inserendo citazioni cinematografico-letterarie al momento di descrivere i dettagli della casa. Vi consiglio di citare la scena del filo spinato di Suspiria se il giocatore alla vostra destra dovesse pescare un Joker, la carta che lo intrappola e lo obbliga ad attendere che qualcuno venga a salvarlo.

PRO:
- L'utilizzo delle carte come materiali per costruire la mappa su cui si muovono i personaggi, contrassegnati da pedine di qualche tipo, rende il gioco piacevolmente "fisico";
- È un gioco da one-shot con una certa "dignità". Spesso i giochi monosessione e con regolamenti stringati sono giochi leggeri adatti solo a perdere tempo, mentre questo Haunted mantiene comunque delle premesse adulte e intriganti;
- La durata è personalizzabile tramite un paio di regole opzionali;
- I soldi vanno in beneficenza, e in ogni caso a quel prezzo il gioco è praticamente regalato.

CONTRO:
- Le regole sono scritte in modo forse troppo sintetico. L'assenza di esempi si fa talvolta sentire, e alcuni punti non spiccano per quanto riguarda la chiarezza;
- Le tabelle per le carte andrebbero espanse. Attualmente diverse contengono troppi pochi spunti per essere interessanti;
- Manca qualche meccanica capace di rende questo gioco veramente coerente con le proprie premesse. Credo ad esempio che il finale vada dettagliato meglio, e che manchi qualcosa che vada in una direzione più intima per i personaggi.

SINTESI:
La mia idea è che il gioco risenta del fatto di volere essere una specie di mini-gioco - è nato peraltro collateralmente ad un altro dei mini-giochi di Nathan, Witness The Murder of Your Father and Be Ashamed, Young Prince. Se le regole fossero un minimo estese al di là di queste poche facciate, se le tabelle contenessero effetti e descrizioni meglio inseriti nelle meccaniche, magari andando nella direzione presa dal meccanismo a carte di The Quiet Year di Joe McDaldno (gioco che peraltro ho idea che sia stato una forte fonte di ispirazione), ho idea che questo gioco potrebbe veramente spiccare, ritagliandosi un proprio spazio degno di rispetto. Non so quali siano i progetti dell'autore riguardo ad Haunted, che suppongo essere più che altro una produzione minore, in un momento in cui egli sta dedicando le sue energie creative a progetti ben più corposi, quali World Wide WrestlingThe Imp and the Perverse, ma spero che abbia la possibilità di aggiornare il suo gioco in futuro, perchè attualmente Haunted è sì un gioco interessante, ma che fatica a risplendere nel panorama in cui si è posto.

venerdì 23 agosto 2013

Dog Eat Dog




Nome: Dog Eat Dog

Autore: Liam Liwanag Burke

Editore: Liwanag Press

Data di Pubblicazione:
2012

Prezzo: $10.00 per il PDF; $15.00 PDF più manuale cartaceo
Il ritmo, già assai discontinuo, a cui scrivo recensioni qui su RPGshark, è calato negli ultimi tempi, a causa di certi impegni universitari che mi hanno visto rincorrere una lezione dopo l'altra, un esame dopo l'altro, una donna dopo l'altra. Noterete che questo ritmo faticherà ad accelerare nei tempi venturi.

Ciò in effetti mi ha impedito di giocare con la solita frequenza, ma ciononostante un gioco nuovo sono riuscito a provarlo, ed è quello di cui vi sto per scrivere, Dog Eat Dog, un gioco sull'imperialismo e l'assimilazione delle isole del Pacifico, che si è ultimamente guadagnato il lasciapassare per uno dei più importanti premi del settore ludico in assoluto, in Diana Jones for Excellence in Gaming. La vittoria è poi andata alla web-serie Tabletop di Wil Wheaton, ma l'essere stato l'unico gioco di ruolo tra le sei nomination di sicuro è un enorme e importantissimo traguardo per il gioco in questione.

L'autore viene da uno dei luoghi in cui si svolgono le vicende del gioco: ha 31 anni ed è nato tra le isole Hawaii, come scrive nei primi paragrafi delle note autoriali. Conosce dunque l'argomento dell'occupazione coloniale abbastanza da vicino: le Hawaii furono infatti occupate dagli Stati Uniti a fine '800 assieme alle Filippine (queste vennero poi lasciate perdere dopo la Seconda Guerra Mondiale), e suppongo che la storia locale, che ha visto gli indigeni delle Hawaii sottomessi agli occupanti americani, faccia parte della cultura popolare, sempre che non venga apertamente insegnata nelle scuole.

Io non ne so granchè sull'argomento. Fortunatamente, per la gente come me, che ha scelto il proprio liceo sulla base del fatto che non vi venisse insegnata la geografia, l'autore ha inserito in fondo al manuale una decina di pagine di spiegazione della storia dell'occupazione delle isole del Pacifico. Per cui, bene o male, se proprio non siete capaci di indicare le Hawaii sul mappamondo, e non avete idea di che cosa significhi parlare dell'imperialismo da queste parti, avete a disposizione un'intero capitolo per schiarirvi le idee.

L'isola su cui si gioca e la forza di occupazione che vi si inserisce vengono create ad-hoc all'inizio del gioco: ogni giocatore, prima per i nativi e poi per la forza di occupazione, fa una dichiarazione, del tipo "Quando uno muore, i parenti stretti ne mangiano il cadavere" o "credono in Kopeka, il Dio lamantino". Deve essere una semplice frase, una sorta di tratto che più o meno entrerà in gioco nel resto della partita.

Scegliendo queste dichiarazioni è possibile spostare il focus su un'ambientazione differente. Le regole fanno esempi legati al lontano futuro e al fantasy. Ad esempio è possibile ricondurre tutto ad un popolo di elfi che colonizza una foresta abitata dagli orchi.

Uno dei giocatori giocherà l'Occupazione. Gli altri saranno i Nativi, e giocheranno ognuno un personaggio in particolare, identificato a sua volta da un tratto personale che lo identifica in qualche parola, come "è il cuoco più bravo dell'isola" o "è la madre di tre figlie". Il giocatore dell'Occupazione non gioca un personaggio in particolare: gestirà piuttosto quell'insieme di personaggi non giocanti legati alla fazione che si ritrova a gestire. Non sceglie dunque un tratto personale.

Giocando, si andrà componendo una lista di "regole", cioè un'insieme di comportamenti e linee di pensiero che i nativi hanno dedotto che la forza di occupazione premi e voglia far rispettare. Sono regole non scritte più che leggi vere e proprie. La prima di queste regole è "I Nativi sono inferiori alla forza di Occupazione". La si scrive su di un foglio, e per ora non ne vengono aggiunte altre.

Poi si passa al gioco vero e proprio, dove le meccaniche cruciali di Dog Eat Dog finalmente emergono.

Sostanzialmente ogni giocatore chiamerà una scena a turno, impostando la scena rispondendo agli interessi della storia che piano piano si verrà a formare. Se il giocatore che crea la scena è un Nativo, questi deve inserire il proprio personaggio nella narrazione, e può inserire anche gli altri personaggi qualora questi lo vogliano. Loro potranno chiedere di entrare, se sono interessati. Tuttavia, il giocatore dell'Occupazione, la cui presenza in scena viene data dalla presenza di personaggi legati alla sua fazione, non ha bisogno di permessi per entrare nelle scene altrui. Inoltre, se l'Occupazione è presente, è questa che diventa l'autorità narrativa della scena, e che dunque può chiamare nella narrazione gli altri personaggi nativi, senza che, questa volta, questi si possano opporre.

Totale dispotismo, dunque, che emerge ancora più forte nel sistema dei conflitti: quando in scena emerge un attrito sul modo in cui la narrazione dovrebbe procedere, quello è un conflitto, che viene risolto seguendo tre fasi. La prima, la Negoziazione, propone ai giocatori di trovare un punto di accordo. Se non ci riescono, si passa alla seconda fase, la Chance, dove ogni giocatore tira un dado, sommando un +1 per ogni tratto (proprio o delle fazioni) che ritiene gli stia dando un vantaggio. Chi tira più alto può narrare cosa accade effettivamente in fiction. A questo punto se uno qualunque dei giocatori al tavolo non è convinto dal risultato si passa alla terza fase, il Comando, in cui semplicemente il giocatore dell'Occupazione decide che cosa accada.

Vi sarà evidente la possibilità per l'Occupazione di intervenire già nella prima scena di gioco, chiamando in scena tutti i personaggi e dichiarando morti tutti quanti, che non avranno nessuna possibilità di opporsi dato che si arriverebbe subito a un conflitto in cui l'Occupazione ha l'ultima parola su come questo si concluda. Questa è una delle possibilità che l'autore ha lasciato allo scopo di far riflettere sull'argomento trattato: in effetti gli pareva incorretto non lasciare alla forza di occupazione la possibilità di intervenire fin da subito facendo pulizia dei nativi dell'isola e facendo i propri porci comodi.

Per far pesare ulteriormente ai Nativi la loro inferiorità interviene una meccanica di gettoni, che regola la durata del gioco. La riserva di gettoni dell'Occupazione indica con quanta forza questa porta avanti i propri scopi, mentre quella dei Nativi indica un po' il loro grado di assimilazione di valori coloniali, intesa anche come forza di farvi fronte. Se la forza di Occupazione resta a 0 gettoni, si entra nell'endgame e questa leva le tende. Se invece un Nativo resta con 0 gettoni questi va in berserk, fa qualcosa di estremamente autolesivo e violento (in una scena in cui l'Occupazione NON HA autorità) e poi muore violentemente.

I gettoni si muovono in vari modi, ma principalmente si spostano quando i Nativi rispettano o violano le regole (ricordate quel foglio di regole? Quello che comincia dicendo che i Nativi sono inferiori all'Occupazione? Quelle) che mano a mano vengono create. L'elemento cruciale, tuttavia, è che l'autorità definitiva su come questi gettoni si muovano, il compito di stabilire chi ha rispettato le regole e premiare questo comportamento, ricade solo ed esclusivamente tra le mani del giocatore della forza di Occupazione. Gli altri modi in cui i gettoni si muovono, che non vi sto a definire anche perchè questa è una recensione e non un regolamento, in linea di massima e con una minima accortezza possono a loro volta essere controllati dall'Occupazione.

Per ogni scena in cui l'Occupazione è comparsa e che non ha portato alla conclusione della partita i giocatori aggiungeranno una nuova regola. Di solito quando la partita si conclude le regole in gioco sono cinque o sei. Dog Eat Dog non è un gioco lungo.

Ora, meccaniche simili portano chiaramente a porsi delle domande su ciò che si è appena sperimentato.

Di sicuro non si può definire Dog Eat Dog un gioco il cui scopo è quello di creare una storia appassionante. Le meccaniche fanno tutt'altro: esse hanno infatti la finalità di mostrare determinati meccanismi che sottintendono all'occupazione coloniale. Meccanismi interessanti e scomodi che in effetti vale la pena di scoprire giocando a Dog Eat Dog.

In linea di massima ciò che si osserva è che l'Occupazione tende a cavillare (tanto.. può farlo) fintando che non decide di mettere fine a questa presa in giro. Le vicende in cui sono coinvolti i personaggi sono vicende "basse": non fanno altro che portare avanti la loro misera esistenza in un territorio in cui ora non sono altro che bestie in trappola, e tendenzialmente finiranno ammazzati per rappresaglia o per avere fatto qualche boiata che non ha portato a nulla. Il funzionamento dei dadi appiattisce le differenze: tutti quei tratti che identificano un popolo, o la stessa forza di occupazione, alla fine non contano niente, per non parlare dei tratti personali, elementi che hanno un'importanza minima, in tiri inutili. Altresì è interessante osservare che, se l'Occupazione decide di essere "giusta", premiando i giocatori che rispettano le Regole, allora la sua riserva di gettoni finirà per certo nel giro di qualche scena, sancendo così la sua dipartita dall'isola in questione e, per così dire, la vittoria dei Nativi. Queste sono alcune delle considerazioni che mi hanno colpito alla fine delle partite che ho fatto.

Alla fine si è liberi di trarre le conclusioni che si preferiscono, da una partita a Dog Eat Dog. Lo stesso giocatore che gioca la forza di Occupazione ha la possibilità di guidare la partita in maniere estremamente diverse, per cui partite differenti vissute da punti di vista differenti possono portare a considerazioni differenti.

Segnalo che per il gioco è disponibile (anche se non sono riuscito a capire dove, nè come e a che prezzo) un supplemento intitolato Asocena, che mi risulta essere una raccolta di scenari per Dog Eat Dog, tra cui ne spicca uno che tratta il tema dell'occupazione dell'Italia durante le fasi terminali della seconda guerra mondiale, scritto dagli italianissimi Mauro Ghibaudo, Ezio Melega e Giulia Barbano, credo. Perchè appunto io non sono riuscito a trovarlo, e ne deduco che non sia ancora distribuito. In ogni caso alla nomination del Diana Jones era accompagnata da una citazione del supplemento in questione, e in particolare si citava lo scenario italiano, che a questo punto deduco essere la punta di diamante del prodotto in questione.

PRO:
- Raggiunge il massimo dell'esperienza in poche ore di gioco;
- Tema mai visto prima;
- Meccaniche uniche, che portano alle estreme conseguenze quel tipo di gioco simulativo che non mostra, ma fa vivere ai giocatori il tema trattato.

CONTRO:
- Il gioco è quasi un documentario. È interessante, ma è anche in qualche modo divertente?

SINTESI:
Senza alcuna ombra di dubbio Dog Eat Dog scopre una nuova vetta nel panorama dei giochi di ruolo, e lascia aperto un passaggio per possibili esplorazioni future di questa tipologia di gioco, atipica eppure importante. Finora questo approccio al gioco è stato utilizzato per portare i giocatori a esperienze caciarone e divertenti in modo quasi imbarazzante (è il caso per esempio di Grandi Dèi Orki, di cui sono un grande detrattore, o di Sea Dracula, che non avrò MAI il coraggio di giocare), mentre Dog Eat Dog tenta una strada diversa, che conduce i giocatori alla scoperta di un tema pressochè inedito per il giocatore medio occidentale, eppure moderno e importante se vissuto dal punto di vista di chi è stato colonizzato. Chissà questo percorso dov'è destinato a portare. La mia idea è che la nomination al Diana Jones sia stata più che meritata.

domenica 31 marzo 2013

Manowar - Warriors of the World



Nome: Manowar - Warriors of the World

Autore: Robert J. Schwalb

Editore: Nuclear Blast

Data di Pubblicazione:
2002

Prezzo: $25.00
Esistono pagine strane nella storia dei giochi di ruolo. Ci sono giochi maledetti come Dresden Files RPG, soprannominato il Duke Nukem Forever dei giochi di ruolo, in riferimento al parto estremamente travagliato che ne ha reso problematica la pubblicazione. Ci sono giochi su cui si fa un po' di confusione, come la prima edizione di Dungeons & Dragons, di cui esistono più versioni redatte da mani diverse (Moldway, Mentzer, Holmes) e con le regole sensibilmente più incasinate dall'una all'altra.

Ci sono, infine, giochi "passati sullo sfondo". Quelli che a pochi anni dalla pubblicazione già si fa fatica a rintracciare. E le ragioni possono essere diverse: talvolta si tratta di giochi indipendenti, scritti magari in formato elettronico, che lasciano un'impronta minima in questo mondo per poi svanire per sempre nell'etere. Shellshock, ad esempio, lo conosciamo soltanto io e altri due.


Altre volte si tratta di giochi di cui il cui editore ne ha sostanzialmente insabbiato l'esistenza, preferendo fare finta di nulla, e calando un velo pietoso su un periodo buio della propria attività editoriale.

E a questo punto non lo so se questo Manowar - Warriors of the World, definibile in poche parole come il gioco di ruolo dei Manowar, pubblicato in simultanea con l'album omonimo dalla stessa etichetta discografica della band in questione, possa appartenere a uno di questi casi.

Sicuro è che le notizie a proposito di questo gioco sono scarse, e l'impronta che Manowar - Warriors of the World ha lasciato la si ritrova per lo più sotto forma di una traccia su internet, riscontrabile ad esempio su Wikipedia e su RPGgeek. Le recensioni che ho trovato sono state poche e abbastanza concordanti sul fatto che il gioco non fosse esattamente un'opera brillante, ma da fan della band e dell'autore ho cercato per un annetto abbondante di ottenere una copia usata del gioco su eBay, perdendo tutte le aste che lo riguardavano. Sono successivamente riuscito a far saltare fuori un PDF di stampa dall'internet, e mi sono accontentato di quello.

Il gioco effettivamente non è un granchè, ma non posso fare a meno di vederci delle idee che, nel 2002, un po' spaccavano.

L'autore, che tuttora lavora per la Wizards of the Coast, si è evidentemente ispirato in tutto e per tutto alla terza edizione di Dungeons & Dragons, creando un gioco tradizionale e già visto. Assomiglia un po' a un'ambientazione per D&D 3.0, in effetti, ma per come viene presentato è perfettamente giocabile come gioco a sè stante. È un po' ciò che venne fatto con il gioco di ruolo di Starcraft, che era una sorta di rip-off di Alternity, scritto e pubblicato in modo tale da non necessitare i manuali base di quest'ultimo perchè lo si potesse giocare.

Al solito, c'è un master (stavolta chiamato War Master) che ha il compito di costruire uno scenario, fondamentalmente definibile come un campo di battaglia il più grande e incasinato possibile. Questo scenario deve essere localizzato in un'epoca storica più che mai vaga (sembra una specie di versione sword & sorcery di un mondo fantasy simil-europeo eternamente bloccato alla prima guerra mondiale, ma tanto l'ambientazione viene descritta in modo alquanto sommario, per cui uno si può immaginare un po' quello che gli pare).

I personaggi saranno "Eroi" ("Heroes" nella scelta di parole dell'autore), ovvero quei soggetti pompatissimi e con il volto adombrato che si vedono sempre sulle copertine degli album dei Manowar. Essi capitano letteralmente in mezzo alla battaglia e hanno la possibilità di fare ciò che vogliono, sbilanciando le sorti dello scontro a loro piacimento.

Questo nelle premesse. In verità, anche se effettivamente i personaggi sovrastano, in uno scontro diretto, anche il mostro più potente di quelli presentati (il re dei giganti dei ghiacci), per come gli scenari devono essere costruiti (a spesa di punti tipo la quarta edizione di Dungeons & Dragons, ma con un 70% dei punti che devono obbligatoriamente essere spesi in mostri di piccolo calibro) i nemici non si presenteranno mai da soli, bensì accompagnati da un'improponibile schiera di minion, rendendo per prima cosa lentissima la gestione del gioco, e in secondo luogo rendendo complicatissima la vittoria per il cast dei protagonisti, dal momento che le regole, palesemente, avvantaggiano il numero rispetto alla forza.

Per cui, i personaggi (che sono un po' tutti quanti degli umani-barbari à la D&D, come regole... hanno un attacco base che viene modificato e pompato a forza di talenti) non riescono a raggiungere quel potenziale di morte e distruzione che viene tanto sbandierato nella premessa.

Al termine dello scenario vengono acquisiti degli elementi di gioco stabiliti totalmente dal war master (trofei di guerra, tipo armi, fortezze, schiavi, donne...) che possono essere convertiti in punti esperienza, con cui poi ci si comprano i talenti per potenziare i propri valori e attacchi.

Trovo questa regola estremamente meccanica ma al tempo stesso molto interessante. L'idea dietro di essa è spingere per far si che, se un eroe vuole diventare fortissimo e indomabile, questi debba per forza lasciarsi alle spalle tutto. Per cui, bruciando tutti i possedimenti che di volta in volta vengono guadagnati, l'eroe gradualmente "trascende", diciamo così, diventando sempre più potente e unico. Si avrà ovviamente la possibilità di non rinunciare a questi possedimenti, ma così facendo dovrete rinunciare a una parte della forza del vostro eroe. Questo gradualmente (ma, diciamocelo, non necessariamente) porterà a un suo declino.

Questa è una delle regole interessanti incluse nel gioco, dunque.

Un'altra di esse è quella che riguarda le "power ballad". Mentre giocherete, i vostri compagni al tavolo potranno assegnarvi dei "power points". Simile al meccanismo delle fan-mail di Avventure in Prima Serata, questo è un elemento con cui comunicare la propria approvazione e il proprio divertimento al tavolo. Quando ricevete un power point, tradizionalmente rappresentato con una perlina di vetro colorato, voi lo mettete da parte, e vi scrivete nell'apposita tabella qual'è stata l'azione eroica per cui l'avete ricevuto. Questi punti rimangono di sessione in sessione, e al termine di uno scenario possono essere spesi in blocco per performare una power ballad. Ovvero, il giocatore deve raccontare una storia che includa tutti gli atti eroici inclusi nella lista, e che abbia per protagonista il proprio eroe. Dopo che l'ha fatto, tira un d20 e aggiunge un punto per ogni power point accumulato (e, dunque, bruciato con questo tiro). La soglia da raggiungere è pari a 16 +2 per ogni giocatore che ha gradito la power ballad, e -2 per ogni giocatore che non l'ha apprezzata. Se il tiro viene superato, la ballad "entrerà nella leggenda" (qualsiasi cosa significhi), e il personaggio riceve il triplo dei trofei di guerra derivanti dallo scenario appena concluso.

PRO:
- È il gioco di ruolo ufficiale dei Manowar: non gli si può resistere;
- Alcune regole sono divertenti ed estremamente indovinate...

CONTRO:
- ...ma sono inserite in un impianto regolistico tradizionale, che ne adombra le qualità;
- Le regole di combattimento in verità avvantaggiano il numero elevato di nemici piuttosto che la forza dei protagonisti, per cui capita spesso che questi muoiano anzitempo, se il master non ci va leggero. In altri termini, il gioco non è bilanciato nel modo corretto.

SINTESI:
Manowar - Warriors of the World forse è il gioco più improbabile che mi sia capitato tra le mani negli ultimi mesi. Forse è uscito troppo presto: se fosse stato scritto ai giorni nostri magari quelle due regole bellissime avrebbero preso forma in un impianto di gioco coerente, cosa che purtroppo questo gioco non ha. Riguardo a ciò: a un gioco del 2002 credo si possano ancora perdonare alcune cose. D'altronde la teoria del gioco di ruolo era ancora agli inizi, ed era un fenomeno abbastanza underground. Per cui qualche aspetto ritengo sia tutto sommato accettabile e perdonabile (vedi la sempiterna regola zero), e un po' mi dispiace che questo clone di D&D sia passato in modo del tutto indifferente agli occhi del pubblico, probabilmente in seguito a un cattivo marketing della Nuclear Blast. Credo meriti la medesima attenzione che è stata rivolta al gioco di ruolo di Conan o ai due giochi dedicati a World of Warcraft. Anzi, credo meritasse anche di più.

sabato 16 febbraio 2013

The Quiet Year


Nome: The Quiet Year

Autore: Joe McDaldno

Editore: Buried Without Ceremony

Data di Pubblicazione:
2012

Prezzo: $6.00 il solo PDF; $25.00 PDF più manuale cartaceo e carte apposite
Vi ricorderete di A Thousand Years Under the Sun, forse, dalla recensione che ne feci a Marzo dell'anno scorso. Se non ve lo ricordate vi rinfresco la memoria: è un gioco di Matthjis Holter (Zombie PornArchipelago 3), pubblicato poco più di un anno fa, che prevede di raccontare la storia di una regione ("Le Steppe") e del popolo che la abita per un migliaio di anni. Mano a mano che si narrano le storie di questa gente viene disegnata e tenuta aggiornata una mappa, che costituisce di fatto l'ingranaggio centrale dell'intero sistema di gioco.

The Quiet Year, uno dei più recenti lavori di Joe McDaldno (Ribbon DriveMonsterhearts), ha delle premesse simili, e viene infatti definito dall'autore un "map game", e meglio ancora un "map-drawing game" nel manuale di gioco.

In The Quiet Year i giocatori esplorano collettivamente le sventure di una comunità che cerca di mantenersi in piedi dopo il collasso della civiltà. È dunque un gioco incentrato sui temi della comunità, delle scelte difficili che questa deve affrontare, e del paesaggio.

L'incipit dice che noi (i giocatori) siamo finalmente riusciti a liberarci degli Sciacalli, evidentemente una tribù di barbari, e che ora ci resta un anno per potere rimettere in piedi la nostra comunità, fino al prossimo inverno. Qui arriveranno i Pastori del Freddo, e potremmo non sopravvivere a questo incontro. Il gioco avrà dunque termine.

Chi siano questi Pastori del Freddo non è specificato ed è volutamente lasciato in sospeso. Il finale infatti arriva brutalmente e seccamente, e tutt'a un tratto si sa soltanto che l'inverno è arrivato per davvero, e che ora saranno tempi duri per la comunità. I giocatori saranno invitati a discutere su cosa questi Pastori del Freddo potrebbero essere, e cosa il loro arrivo abbia comportato per la comunità che si è seguita per tutto il gioco.

Inizialmente questo finale mi era parso abbastanza spiazzante, ma mi pare di ricordare che ci fossimo dimenticati di discutere dei Pastori del Freddo, e questa effettivamente potrebbe essere stata una mancanza tale da rendere il finale una merda. Alla seconda partita che ho fatto so invece per certo che ci siamo ricordati di farlo, e mi è sembrato funzionare.

Tornando al meccanismo di gioco: il sistema è piuttosto semplice. Il mazzo di carte viene diviso in semi. I semi sono mescolati al loro interno, ma poi essi vengono posti in un ordine determinato, in un'unico mazzo. Questo fa si che prima ci siano tutte le carte di cuori, poi i quadri, poi i fiori e infine le picche; il gioco finisce quando esce il Re di picche.

Il susseguirsi delle stagioni è dato dal susseguirsi dei semi: ogni turno verrà pescata una carta dal giocatore di turno, che ne confronterà il numero e il seme con l'oracolo (l'appendice), che gli dirà che cosa quella carta significa e gli darà una scelta da fare. Un esempio può essere dato dal 2 di fiori:
Qualcuno ritorna alla comunità. Chi è? Dov'erano?
o
Trovate un corpo. Chi è? Cosa è successo? 
Logicamente il giocatore di turno sceglie il paragrafo che preferisce e risponde alle domande che esso gli pone, o comunque fa ciò che gli dice di fare.

Dopo che è stata giocata la carta il giocatore deve scegliere se avviare un progetto (indicare un nuovo progetto della comunità sulla mappa e discutere assieme agli altri giocatori su quanto ci potrebbe volere a finirlo, da una a sei settimane), avviare una discussione (cioè porre una domanda o fare una constatazione, e a quel punto in ordine tutti gli altri giocatori fanno a loro volta una constatazione, fino a che tutti non hanno detto la loro. A quel punto non succede nulla. L'autore specifica che queste discussioni sono un po' "discussioni da forum": si parla del sesso degli angeli e non si va a parare da nessuna parte. Ho avuto effettivamente quest'impressione) oppure scoprire qualcosa di nuovo, vale a dire disegnare qualcosa di nuovo sulla mappa.

Quando si avvia un progetto questo viene in qualche modo disegnato sulla mappa e sopra gli viene posto un dado da 6 con la faccia volta verso l'alto che indica quante settimane mancano per il completamento. Tra il momento in cui viene risolto l'effetto della carta e il giocatore effettua la sua azione "passa una settimana", ovvero tutti i dadi diminuiscono di 1 il proprio valore, ed eventualmente si concludono. Gli effetti di certe carte operano anche sui progetti (a volte incrementandone o diminuendone la durata, talvolta eliminandoli o facendone fare di nuovi).

Per cui il gioco va avanti così, di carta in carta, di giocatore in giocatore, di settimana in settimana. Per una qualche combinazione estremamente fortunata, di cui una breve ricerca su wikipedia non mi dà spiegazioni, e che devo dunque convincermi essere un caso, le carte del mazzo, tolti i Jolly e il regolamento del bridge (o chi per lui), sono proprio 52, una per ogni settimana dell'anno.

Il gioco include qualche altra regola, tra cui una per gestire il malcontento al tavolo: quando un giocatore fa qualcosa che non si giudica un granchè si può prendere un segnalino e metterlo di fronte a sè. Questo rappresenta da una parte il proprio disappunto, e a livello di gioco rappresenta pure un crescente malcontento all'interno della comunità. Questi "segnalini del malcontento" possono poi anche essere rimessi al loro posto quando un altro giocatore fa invece delle scelte che si gradiscono e che, si crede, possono contribuire a sanare questo malessere popolare. Non è niente di particolarmente sofisticato (secondo me si poteva inserire qualche meccanismo in più per visualizzare concretamente in gioco gli effetti di questo malcontento) ma è comunque un giochetto di meta-game che mi risulta piacevole.

Un'ultima regoletta riguarda le risorse della regione, che possono essere in scarsità o abbondanza, e che aiutano a chiarire la direzione che i progetti devono prendere; al di là di una regola opzionale per ridurre il tempo di gioco (che si limita a 3-4 ore, eccetto che per la presenza di giocatori particolarmente lenti) il gioco è tutto qui.

PRO:
- Semplice ma comunque abbastanza innovativo, con quella gestione del mazzo di carte, da risultare accattivante;
- È un comodo riempitivo per qualche ora di gioco, e la regola opzionale per velocizzare la partita permette di farlo stare un po' dappertutto, come tappabuchi;

CONTRO:
- L'esperienza di gioco è un po' tutta uguale a sè stessa senza dei gran colpi di scena, il che rende le partite in verità abbastanza monotone, omogenee, e simili tra loro, limitando la rigiocabilità del gioco, quantomeno per quanto riguarda il breve periodo;
- La regola dei "segnalini del malcontento" è carina ma si poteva fare di meglio;
- Sono dell'idea che cambiando il tono all'ambientazione potrebbero essere realizzati oracoli differenti per il gioco, aumentandone di molto la variabilità da una partita all'altra, ma non mi risulta che ci siano progetti del genere da parte dell'autore.

SINTESI:
The Quiet Year è senza ombra di dubbio un ottimo gioco tappabuchi o da svacco, comodo per una serata e sicuramente accattivante. Non sono del tutto convinto da ogni aspetto del regolamento, e credo che possa meritare una versione riveduta da parte dell'autore, nonchè un maggiore supporto, che si potrebbe ad esempio realizzare nella creazione di oracoli differenti (me ne viene in mente uno che potrebbe riguardare la vita in una colonia di minatori nello spazio profondo, ad esempio). Questo potrebbe rendere il gioco più valido per quanto riguarda la rigiocabilità, il che sarebbe gradito visto che questa dei map-drawing potrebbe essere una delle direzioni in cui il gioco di ruolo potrebbe svilupparsi nei prossimi tempi. Per ora il gioco è un po' chiuso nella nicchia dei giochi di ripiego, e non credo che possa valere appieno il suo prezzo, specialmente per quanto riguarda l'edizione cartacea, forse bella ma ugualmente afflitta dai problemi già discussi.

sabato 19 gennaio 2013

Esoterroristi


Nome: Esoterroristi

Autore: Robin D. Laws

Editore: Pelgrane Press (tradotto in italiano da Janus Design)

Data di Pubblicazione:
2007

Prezzo: 24,90€ (prezzo riferito all'edizione italiana)
Assieme a Non Cedere al Sonno, Esoterroristi è stato il primo gioco indie giunto nella mia libreria. E ci è rimasto per un bel pezzo, a prendere polvere tra gli scaffali, dal momento che mai una volta sono riuscito a organizzarne anche una sola partita di prova. Fino a qualche mese fa, s'intende, quando finalmente ho trovato gente interessata a provarlo. È stato dunque un piacere dare fondo al potere di questo sistema, dato che non solo ci siamo divertiti abbastanza, ma ho finalmente sentito che il mio investimento di tanti anni fa (e mi riferisco all'acquisto del gioco) era andato a parare da qualche parte. E chi mi conosce sa quanto io sia venale su questo argomento.

Esoterroristi è un gioco che discende in modo abbastanza diretto dall'esperienza di gioco tradizionale, e nasce con il chiaro intento dell'autore di dare vita a un sistema capace di gestire "avventure investigative".

Potrebbe essere necessario fare una breve ricapitolazione: con "gioco tradizionale" ci si riferisce a quell'impianto di gioco in cui c'è un giocatore (chiamato a seconda del gioco dungeon master/narratore/custode/cartomante e in centinaia di altri modi strani) che si occupa di mettere in piedi una storia/avventura, che gli altri giocatori (chiamati semplicemente giocatori) sostanzialmente vivranno e affronteranno, guidando ognuno un proprio personaggio, caratterizzato da una serie di abilità che ne indica le capacità fisiche, mentali o sociali. Di giochi tradizionali ce ne sono a bizzeffe, ma rispondono tutti quanti a questo identikit, e mostrano di avere tutti quanti i medesimi difetti. Uno di questi difetti è l'impossibilità pratica di realizzare le cosiddette "avventure investigative" tanto sbandierate dai regolamenti stessi. Un'avventura investigativa è un'avventura costruita in maniera tale per cui per procedere da una scena all'altra sia necessario trovare una catena di indizi, come se fosse in pratica una storia di quelle dedicate ad Hercule Poirot o, se siete più moderni, al team di NCIS.

Le avventure investigative non sono di solito praticamente realizzabili nel gioco tradizionale perchè tutti questi giochi fanno uso di un sistema casuale per determinare se, all'interno della storia, il personaggio sia in grado di compiere le azioni più importanti, tra cui ad esempio trovare indizi. Un tiro di dado poco fortunato può dunque bloccare l'intera avventura, mandando in vacca la partita e obbligando ai giocatori di scavalcare le regole per procedere.

Esoterroristi, o per meglio dire il suo sistema di gioco GUMSHOE, nasce nè più nè meno per risolvere questo problema. L'impostazione è tradizionale, analoga a quella descritta sopra: c'è un master (stavolta chiamato GameMaster, tutto attaccato) che prepara un'avventura composta da una serie di scene collegate l'una all'altra da una serie di indizi principali che è necessario trovare per procedere. C'è poi un numero variabile di giocatori (di solito da 3 a 5), ognuno col proprio personaggio, caratterizzato da una serie di statistiche.

La fondamentale differenza che allontana il GUMSHOE dai soliti giochi di ruolo tradizionali è che, anche se esiste un sistema di dadi per far compiere al personaggio determinate azioni, per trovare gli indizi un personaggio non debba mai tirare, ma semplicemente possedere l'abilità necessaria per trovarlo. Ci sono un totale di 39 abilità che un personaggio può possedere, dove "possedere" indica che il giocatore ci ha speso sopra almeno 1 punto di quelli disponibili al momento della creazione del personaggio. Queste abilità, divise in tre categorie (Conoscenze Accademiche, Competenze Tecniche e Capacità Interpersonali) indicano le diverse competenze che può avere un investigatore, e si va da "Analizzare testi" a "Entomologia forense" a "Balistica" a tanta altra roba. Avere anche un solo punto in una di queste abilità indica un'altissimo grado di preparazione, e il personaggio sarà dunque in grado di trovare qualsiasi indizio per cui quell'abilità sia necessaria. I punti invece non servono ad altro che per avere informazioni extra e più dettagliate su ciò che si ha di fronte, o per avere benefici e indizi extra che comunque non sono direttamente necessari per procedere.

Altre abilità, più classiche (Corpo a corpo, Sparare, Strizzacervelli...), servono a fare il resto del lavoro, e hanno anch'esse un punteggio determinato tramite spesa di punti; i punti in questo caso vengono spesi per dare dei bonus a un tiro di dado (un semplice dado a sei facce) a cui sarà opposta una difficoltà fissa, ovvero un risultato minimo da raggiungere, oppure un tiro contrapposto, qualora l'opposizione sia ad esempio un altro personaggio.

I punti spendibili nelle abilità investigative variano in base al numero di personaggi: meno essi sono, più sono i punti a disposizione del giocatore. Questo per far si che grossomodo tutte le abilità siano coperte dal gruppo, in maniera tale che si riesca praticamente sempre a procedere nello scenario.

Il master deve occuparsi del pesante lavoro di mettere in piedi l'intera avventura, compito non breve e in cui il manuale in verità è abbastanza avaro di suggerimenti. Le regole per costruire uno scenario sono comunque chiare: ogni scena deve contenere un certo numero di indizi, tra cui uno cruciale, trovabile abbastanza facilmente e senza spesa di punti o tiri strani, necessario a passare alla scena successiva. Come poi queste scene siano organizzate sta tutto alla creatività del master. Magari sono organizzate in maniera tale che ci siano più percorsi seguibili, magari sono completamente lineari, magari alcune scene sono pure facoltative. In questo, ammetto, l'utilizzo dell'avventura di prova in fondo al manuale per la mia prima partita è stata fondamentale, perchè non avrei saputo proprio come muovermi in questo sistema così simile al tradizionale e al tempo stesso abbastanza particolare da rendere tutte le mie altre esperienze di gioco poco utili a capirne del tutto il funzionamento.

Esoterroristi è solo il primo di una serie di giochi che usano questo sistema GUMSHOE. Con una serie di modifiche di cui non conosco i dettagli questo è stato appiccicato ad una serie di altre ambientazioni, dando vita ad una certa quantità di giochi differenti, quali Fear ItselfSulle Tracce di CthulhuMutant City BluesAshen Stars.

Per quanto riguarda l'ambientazione di Esoterroristi, i protagonisti sono agenti dell'Ordo Veritatis, una specie di agenzia segreta che opera a livello globale con il beneplacito di un po' tutti i governi mondiali, avente lo scopo di tenere a bada gli Esoterroristi del titolo, un branco di curiosi terroristi che fanno uso della paura della gente per ottenere poteri esoterici, grazie ai quali intendono ottenere il controllo globale. Il setting è dunque un mix tra CSI (c'è un certo appeal da serie tv che traspare dalla lettura stessa del manuale e nell'organizzazione dell'avventura), Voyager (non so se Giacobbo sia un esoterrorista, ma di sicuro le sue porcate sono proprio ciò a cui gli Esoterroristi vogliono che noi si creda) e Men in Black (per il sapore che ha questo Ordo Veritatis).

La lettura del sistema di gioco, ammetto, mi aveva lasciato più di una perplessità, solo in parte neutralizzate dalle due avventure che ho giocato (per un totale di circa sei o sette sessioni, a memoria).

L'intero gioco è ad esempio la fiera del rail-road, termine che indica quella situazione in cui in verità, qualsiasi cosa facciano i giocatori, le cose vanno a finire esattamente come il master aveva previsto, e se questo traspaia dipende tutto dalle sue capacità di intrattenitore. È questo un difetto tipico di quell'impianto di gioco tradizionale descritto all'inizio della recensione, e per quanto sia lungi da me sostenere che qui il rail-road diventi un punto a favore del gioco, devo comunque ammettere che la finalità del gioco (fare si che i giocatori districhino un caso preparato dal master) filtri i cattivi effetti e gli abusi di quel tipo di impostazione. Per cui, quello non è troppo un problema.

Ho avuto poi l'impressione che il gioco regga molto male l'assenza di un giocatore. Teoricamente i punti da spendere nelle varie abilità sono determinati sul numero dei giocatori che sanno di essere onnipresenti alle sessioni del gruppo, ma capita comunque che a causa di un imprevisto o di qualcos'altro un giocatore ogni tanto manchi. E assieme a lui manca anche l'intero gruppo di abilità che lui è l'unico ad avere nel gruppo di protagonisti, rendendo talvolta complesso o forzato riuscire a proseguire nell'avventura.

L'autore sostiene infine che sia prevista una certa alta mortalità dei personaggi, cosa che però reputo agghiacciante visto il tempo che ci vuole per fare un nuovo personaggio, e visto che una strage di PG finirebbe per mandare completamente al diavolo l'avventura del master, sempre che la morte dei personaggi non fosse prevista nell'avventura stessa, cosa ancora più agghiacciante conoscendo il dispiacere a cui può portare ignorare l'attaccamento affettivo che ha un giocatore per il proprio personaggio.

PRO:
- Sono quasi quarant'anni che i giochi di ruolo tradizionali cercano di convincerci che con essi sia possibile giocare avventure investigative; questo è il primo che mantiene le promesse;
 - Pseudo-scienza a palate;
- Viene fatto un po' di ordine in questo impianto di gioco, limitandone i problemi e attutendone l'impatto negativo sull'esperienza di gioco...

CONTRO:
- ...ma alcuni aspetti del regolamento si portano comunque dietro pesanti problemi tipici dei giochi tradizionali;
- Su alcuni punti il manuale glissa un po' troppo velocemente, come sulla preparazione dell'avventura, su cui sarei stato meno avaro di suggerimenti;

SINTESI:
Esoterroristi è chiaramente un evoluzione dello stile di gioco tradizionale: fa ordine in quell'impianto di gioco senza decostruirlo troppo, permettendo finalmente di giocare come si deve delle avventure investigative. Esso risente di determinati difetti ereditati da quella formula di gioco, ma quantomeno li argina dietro un design approfondito quanto basta per adombrarli. Alcuni elementi non sono del tutto comprensibili dalla lettura, e in generale non si ha una chiara idea di come tutte le regole si incastrino l'un l'altra fino a che non si fa una partita di prova, magari utilizzando la comoda e ben costruita avventura di esempio saggiamente posta all'interno del manuale. In generale il gioco è piacevole, ed è apprezzabile anche da un palato ormai abituato ai giochi moderni.