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Nome: Dog Eat Dog
Autore: Liam Liwanag Burke
Editore: Liwanag Press
Data di Pubblicazione: 2012
Prezzo: $10.00 per il PDF; $15.00 PDF più manuale cartaceo
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Il ritmo, già assai discontinuo, a cui scrivo recensioni qui su RPGshark, è calato negli ultimi tempi, a causa di certi impegni universitari che mi hanno visto rincorrere una lezione dopo l'altra, un esame dopo l'altro, una donna dopo l'altra. Noterete che questo ritmo faticherà ad accelerare nei tempi venturi.
Ciò in effetti mi ha impedito di giocare con la solita frequenza, ma ciononostante un gioco nuovo sono riuscito a provarlo, ed è quello di cui vi sto per scrivere, Dog Eat Dog, un gioco sull'imperialismo e l'assimilazione delle isole del Pacifico, che si è ultimamente guadagnato il lasciapassare per uno dei più importanti premi del settore ludico in assoluto, in Diana Jones for Excellence in Gaming. La vittoria è poi andata alla web-serie Tabletop di Wil Wheaton, ma l'essere stato l'unico gioco di ruolo tra le sei nomination di sicuro è un enorme e importantissimo traguardo per il gioco in questione.
L'autore viene da uno dei luoghi in cui si svolgono le vicende del gioco: ha 31 anni ed è nato tra le isole Hawaii, come scrive nei primi paragrafi delle note autoriali. Conosce dunque l'argomento dell'occupazione coloniale abbastanza da vicino: le Hawaii furono infatti occupate dagli Stati Uniti a fine '800 assieme alle Filippine (queste vennero poi lasciate perdere dopo la Seconda Guerra Mondiale), e suppongo che la storia locale, che ha visto gli indigeni delle Hawaii sottomessi agli occupanti americani, faccia parte della cultura popolare, sempre che non venga apertamente insegnata nelle scuole.
Io non ne so granchè sull'argomento. Fortunatamente, per la gente come me, che ha scelto il proprio liceo sulla base del fatto che non vi venisse insegnata la geografia, l'autore ha inserito in fondo al manuale una decina di pagine di spiegazione della storia dell'occupazione delle isole del Pacifico. Per cui, bene o male, se proprio non siete capaci di indicare le Hawaii sul mappamondo, e non avete idea di che cosa significhi parlare dell'imperialismo da queste parti, avete a disposizione un'intero capitolo per schiarirvi le idee.
L'isola su cui si gioca e la forza di occupazione che vi si inserisce vengono create ad-hoc all'inizio del gioco: ogni giocatore, prima per i nativi e poi per la forza di occupazione, fa una dichiarazione, del tipo "Quando uno muore, i parenti stretti ne mangiano il cadavere" o "credono in Kopeka, il Dio lamantino". Deve essere una semplice frase, una sorta di tratto che più o meno entrerà in gioco nel resto della partita.
Scegliendo queste dichiarazioni è possibile spostare il focus su un'ambientazione differente. Le regole fanno esempi legati al lontano futuro e al fantasy. Ad esempio è possibile ricondurre tutto ad un popolo di elfi che colonizza una foresta abitata dagli orchi.
Uno dei giocatori giocherà l'Occupazione. Gli altri saranno i Nativi, e giocheranno ognuno un personaggio in particolare, identificato a sua volta da un tratto personale che lo identifica in qualche parola, come "è il cuoco più bravo dell'isola" o "è la madre di tre figlie". Il giocatore dell'Occupazione non gioca un personaggio in particolare: gestirà piuttosto quell'insieme di personaggi non giocanti legati alla fazione che si ritrova a gestire. Non sceglie dunque un tratto personale.
Giocando, si andrà componendo una lista di "regole", cioè un'insieme di comportamenti e linee di pensiero che i nativi hanno dedotto che la forza di occupazione premi e voglia far rispettare. Sono regole non scritte più che leggi vere e proprie. La prima di queste regole è "I Nativi sono inferiori alla forza di Occupazione". La si scrive su di un foglio, e per ora non ne vengono aggiunte altre.
Poi si passa al gioco vero e proprio, dove le meccaniche cruciali di Dog Eat Dog finalmente emergono.
Sostanzialmente ogni giocatore chiamerà una scena a turno, impostando la scena rispondendo agli interessi della storia che piano piano si verrà a formare. Se il giocatore che crea la scena è un Nativo, questi deve inserire il proprio personaggio nella narrazione, e può inserire anche gli altri personaggi qualora questi lo vogliano. Loro potranno chiedere di entrare, se sono interessati. Tuttavia, il giocatore dell'Occupazione, la cui presenza in scena viene data dalla presenza di personaggi legati alla sua fazione, non ha bisogno di permessi per entrare nelle scene altrui. Inoltre, se l'Occupazione è presente, è questa che diventa l'autorità narrativa della scena, e che dunque può chiamare nella narrazione gli altri personaggi nativi, senza che, questa volta, questi si possano opporre.
Totale dispotismo, dunque, che emerge ancora più forte nel sistema dei conflitti: quando in scena emerge un attrito sul modo in cui la narrazione dovrebbe procedere, quello è un conflitto, che viene risolto seguendo tre fasi. La prima, la Negoziazione, propone ai giocatori di trovare un punto di accordo. Se non ci riescono, si passa alla seconda fase, la Chance, dove ogni giocatore tira un dado, sommando un +1 per ogni tratto (proprio o delle fazioni) che ritiene gli stia dando un vantaggio. Chi tira più alto può narrare cosa accade effettivamente in fiction. A questo punto se uno qualunque dei giocatori al tavolo non è convinto dal risultato si passa alla terza fase, il Comando, in cui semplicemente il giocatore dell'Occupazione decide che cosa accada.
Vi sarà evidente la possibilità per l'Occupazione di intervenire già nella prima scena di gioco, chiamando in scena tutti i personaggi e dichiarando morti tutti quanti, che non avranno nessuna possibilità di opporsi dato che si arriverebbe subito a un conflitto in cui l'Occupazione ha l'ultima parola su come questo si concluda. Questa è una delle possibilità che l'autore ha lasciato allo scopo di far riflettere sull'argomento trattato: in effetti gli pareva incorretto non lasciare alla forza di occupazione la possibilità di intervenire fin da subito facendo pulizia dei nativi dell'isola e facendo i propri porci comodi.
Per far pesare ulteriormente ai Nativi la loro inferiorità interviene una meccanica di gettoni, che regola la durata del gioco. La riserva di gettoni dell'Occupazione indica con quanta forza questa porta avanti i propri scopi, mentre quella dei Nativi indica un po' il loro grado di assimilazione di valori coloniali, intesa anche come forza di farvi fronte. Se la forza di Occupazione resta a 0 gettoni, si entra nell'endgame e questa leva le tende. Se invece un Nativo resta con 0 gettoni questi va in berserk, fa qualcosa di estremamente autolesivo e violento (in una scena in cui l'Occupazione NON HA autorità) e poi muore violentemente.
I gettoni si muovono in vari modi, ma principalmente si spostano quando i Nativi rispettano o violano le regole (ricordate quel foglio di regole? Quello che comincia dicendo che i Nativi sono inferiori all'Occupazione? Quelle) che mano a mano vengono create. L'elemento cruciale, tuttavia, è che l'autorità definitiva su come questi gettoni si muovano, il compito di stabilire chi ha rispettato le regole e premiare questo comportamento, ricade solo ed esclusivamente tra le mani del giocatore della forza di Occupazione. Gli altri modi in cui i gettoni si muovono, che non vi sto a definire anche perchè questa è una recensione e non un regolamento, in linea di massima e con una minima accortezza possono a loro volta essere controllati dall'Occupazione.
Per ogni scena in cui l'Occupazione è comparsa e che non ha portato alla conclusione della partita i giocatori aggiungeranno una nuova regola. Di solito quando la partita si conclude le regole in gioco sono cinque o sei. Dog Eat Dog non è un gioco lungo.
Ora, meccaniche simili portano chiaramente a porsi delle domande su ciò che si è appena sperimentato.
Di sicuro non si può definire Dog Eat Dog un gioco il cui scopo è quello di creare una storia appassionante. Le meccaniche fanno tutt'altro: esse hanno infatti la finalità di mostrare determinati meccanismi che sottintendono all'occupazione coloniale. Meccanismi interessanti e scomodi che in effetti vale la pena di scoprire giocando a Dog Eat Dog.
In linea di massima ciò che si osserva è che l'Occupazione tende a cavillare (tanto.. può farlo) fintando che non decide di mettere fine a questa presa in giro. Le vicende in cui sono coinvolti i personaggi sono vicende "basse": non fanno altro che portare avanti la loro misera esistenza in un territorio in cui ora non sono altro che bestie in trappola, e tendenzialmente finiranno ammazzati per rappresaglia o per avere fatto qualche boiata che non ha portato a nulla. Il funzionamento dei dadi appiattisce le differenze: tutti quei tratti che identificano un popolo, o la stessa forza di occupazione, alla fine non contano niente, per non parlare dei tratti personali, elementi che hanno un'importanza minima, in tiri inutili. Altresì è interessante osservare che, se l'Occupazione decide di essere "giusta", premiando i giocatori che rispettano le Regole, allora la sua riserva di gettoni finirà per certo nel giro di qualche scena, sancendo così la sua dipartita dall'isola in questione e, per così dire, la vittoria dei Nativi. Queste sono alcune delle considerazioni che mi hanno colpito alla fine delle partite che ho fatto.
Alla fine si è liberi di trarre le conclusioni che si preferiscono, da una partita a Dog Eat Dog. Lo stesso giocatore che gioca la forza di Occupazione ha la possibilità di guidare la partita in maniere estremamente diverse, per cui partite differenti vissute da punti di vista differenti possono portare a considerazioni differenti.
Segnalo che per il gioco è disponibile (anche se non sono riuscito a capire dove, nè come e a che prezzo) un supplemento intitolato Asocena, che mi risulta essere una raccolta di scenari per Dog Eat Dog, tra cui ne spicca uno che tratta il tema dell'occupazione dell'Italia durante le fasi terminali della seconda guerra mondiale, scritto dagli italianissimi Mauro Ghibaudo, Ezio Melega e Giulia Barbano, credo. Perchè appunto io non sono riuscito a trovarlo, e ne deduco che non sia ancora distribuito. In ogni caso alla nomination del Diana Jones era accompagnata da una citazione del supplemento in questione, e in particolare si citava lo scenario italiano, che a questo punto deduco essere la punta di diamante del prodotto in questione.
PRO:
- Raggiunge il massimo dell'esperienza in poche ore di gioco;
- Tema mai visto prima;
- Meccaniche uniche, che portano alle estreme conseguenze quel tipo di gioco simulativo che non mostra, ma fa vivere ai giocatori il tema trattato.
CONTRO:
- Il gioco è quasi un documentario. È interessante, ma è anche in qualche modo divertente?
SINTESI:
Senza alcuna ombra di dubbio Dog Eat Dog scopre una nuova vetta nel panorama dei giochi di ruolo, e lascia aperto un passaggio per possibili esplorazioni future di questa tipologia di gioco, atipica eppure importante. Finora questo approccio al gioco è stato utilizzato per portare i giocatori a esperienze caciarone e divertenti in modo quasi imbarazzante (è il caso per esempio di Grandi Dèi Orki, di cui sono un grande detrattore, o di Sea Dracula, che non avrò MAI il coraggio di giocare), mentre Dog Eat Dog tenta una strada diversa, che conduce i giocatori alla scoperta di un tema pressochè inedito per il giocatore medio occidentale, eppure moderno e importante se vissuto dal punto di vista di chi è stato colonizzato. Chissà questo percorso dov'è destinato a portare. La mia idea è che la nomination al Diana Jones sia stata più che meritata.
Scegliendo queste dichiarazioni è possibile spostare il focus su un'ambientazione differente. Le regole fanno esempi legati al lontano futuro e al fantasy. Ad esempio è possibile ricondurre tutto ad un popolo di elfi che colonizza una foresta abitata dagli orchi.
Uno dei giocatori giocherà l'Occupazione. Gli altri saranno i Nativi, e giocheranno ognuno un personaggio in particolare, identificato a sua volta da un tratto personale che lo identifica in qualche parola, come "è il cuoco più bravo dell'isola" o "è la madre di tre figlie". Il giocatore dell'Occupazione non gioca un personaggio in particolare: gestirà piuttosto quell'insieme di personaggi non giocanti legati alla fazione che si ritrova a gestire. Non sceglie dunque un tratto personale.
Giocando, si andrà componendo una lista di "regole", cioè un'insieme di comportamenti e linee di pensiero che i nativi hanno dedotto che la forza di occupazione premi e voglia far rispettare. Sono regole non scritte più che leggi vere e proprie. La prima di queste regole è "I Nativi sono inferiori alla forza di Occupazione". La si scrive su di un foglio, e per ora non ne vengono aggiunte altre.
Poi si passa al gioco vero e proprio, dove le meccaniche cruciali di Dog Eat Dog finalmente emergono.
Sostanzialmente ogni giocatore chiamerà una scena a turno, impostando la scena rispondendo agli interessi della storia che piano piano si verrà a formare. Se il giocatore che crea la scena è un Nativo, questi deve inserire il proprio personaggio nella narrazione, e può inserire anche gli altri personaggi qualora questi lo vogliano. Loro potranno chiedere di entrare, se sono interessati. Tuttavia, il giocatore dell'Occupazione, la cui presenza in scena viene data dalla presenza di personaggi legati alla sua fazione, non ha bisogno di permessi per entrare nelle scene altrui. Inoltre, se l'Occupazione è presente, è questa che diventa l'autorità narrativa della scena, e che dunque può chiamare nella narrazione gli altri personaggi nativi, senza che, questa volta, questi si possano opporre.
Totale dispotismo, dunque, che emerge ancora più forte nel sistema dei conflitti: quando in scena emerge un attrito sul modo in cui la narrazione dovrebbe procedere, quello è un conflitto, che viene risolto seguendo tre fasi. La prima, la Negoziazione, propone ai giocatori di trovare un punto di accordo. Se non ci riescono, si passa alla seconda fase, la Chance, dove ogni giocatore tira un dado, sommando un +1 per ogni tratto (proprio o delle fazioni) che ritiene gli stia dando un vantaggio. Chi tira più alto può narrare cosa accade effettivamente in fiction. A questo punto se uno qualunque dei giocatori al tavolo non è convinto dal risultato si passa alla terza fase, il Comando, in cui semplicemente il giocatore dell'Occupazione decide che cosa accada.
Vi sarà evidente la possibilità per l'Occupazione di intervenire già nella prima scena di gioco, chiamando in scena tutti i personaggi e dichiarando morti tutti quanti, che non avranno nessuna possibilità di opporsi dato che si arriverebbe subito a un conflitto in cui l'Occupazione ha l'ultima parola su come questo si concluda. Questa è una delle possibilità che l'autore ha lasciato allo scopo di far riflettere sull'argomento trattato: in effetti gli pareva incorretto non lasciare alla forza di occupazione la possibilità di intervenire fin da subito facendo pulizia dei nativi dell'isola e facendo i propri porci comodi.
Per far pesare ulteriormente ai Nativi la loro inferiorità interviene una meccanica di gettoni, che regola la durata del gioco. La riserva di gettoni dell'Occupazione indica con quanta forza questa porta avanti i propri scopi, mentre quella dei Nativi indica un po' il loro grado di assimilazione di valori coloniali, intesa anche come forza di farvi fronte. Se la forza di Occupazione resta a 0 gettoni, si entra nell'endgame e questa leva le tende. Se invece un Nativo resta con 0 gettoni questi va in berserk, fa qualcosa di estremamente autolesivo e violento (in una scena in cui l'Occupazione NON HA autorità) e poi muore violentemente.
I gettoni si muovono in vari modi, ma principalmente si spostano quando i Nativi rispettano o violano le regole (ricordate quel foglio di regole? Quello che comincia dicendo che i Nativi sono inferiori all'Occupazione? Quelle) che mano a mano vengono create. L'elemento cruciale, tuttavia, è che l'autorità definitiva su come questi gettoni si muovano, il compito di stabilire chi ha rispettato le regole e premiare questo comportamento, ricade solo ed esclusivamente tra le mani del giocatore della forza di Occupazione. Gli altri modi in cui i gettoni si muovono, che non vi sto a definire anche perchè questa è una recensione e non un regolamento, in linea di massima e con una minima accortezza possono a loro volta essere controllati dall'Occupazione.
Per ogni scena in cui l'Occupazione è comparsa e che non ha portato alla conclusione della partita i giocatori aggiungeranno una nuova regola. Di solito quando la partita si conclude le regole in gioco sono cinque o sei. Dog Eat Dog non è un gioco lungo.
Ora, meccaniche simili portano chiaramente a porsi delle domande su ciò che si è appena sperimentato.
Di sicuro non si può definire Dog Eat Dog un gioco il cui scopo è quello di creare una storia appassionante. Le meccaniche fanno tutt'altro: esse hanno infatti la finalità di mostrare determinati meccanismi che sottintendono all'occupazione coloniale. Meccanismi interessanti e scomodi che in effetti vale la pena di scoprire giocando a Dog Eat Dog.
In linea di massima ciò che si osserva è che l'Occupazione tende a cavillare (tanto.. può farlo) fintando che non decide di mettere fine a questa presa in giro. Le vicende in cui sono coinvolti i personaggi sono vicende "basse": non fanno altro che portare avanti la loro misera esistenza in un territorio in cui ora non sono altro che bestie in trappola, e tendenzialmente finiranno ammazzati per rappresaglia o per avere fatto qualche boiata che non ha portato a nulla. Il funzionamento dei dadi appiattisce le differenze: tutti quei tratti che identificano un popolo, o la stessa forza di occupazione, alla fine non contano niente, per non parlare dei tratti personali, elementi che hanno un'importanza minima, in tiri inutili. Altresì è interessante osservare che, se l'Occupazione decide di essere "giusta", premiando i giocatori che rispettano le Regole, allora la sua riserva di gettoni finirà per certo nel giro di qualche scena, sancendo così la sua dipartita dall'isola in questione e, per così dire, la vittoria dei Nativi. Queste sono alcune delle considerazioni che mi hanno colpito alla fine delle partite che ho fatto.
Alla fine si è liberi di trarre le conclusioni che si preferiscono, da una partita a Dog Eat Dog. Lo stesso giocatore che gioca la forza di Occupazione ha la possibilità di guidare la partita in maniere estremamente diverse, per cui partite differenti vissute da punti di vista differenti possono portare a considerazioni differenti.
Segnalo che per il gioco è disponibile (anche se non sono riuscito a capire dove, nè come e a che prezzo) un supplemento intitolato Asocena, che mi risulta essere una raccolta di scenari per Dog Eat Dog, tra cui ne spicca uno che tratta il tema dell'occupazione dell'Italia durante le fasi terminali della seconda guerra mondiale, scritto dagli italianissimi Mauro Ghibaudo, Ezio Melega e Giulia Barbano, credo. Perchè appunto io non sono riuscito a trovarlo, e ne deduco che non sia ancora distribuito. In ogni caso alla nomination del Diana Jones era accompagnata da una citazione del supplemento in questione, e in particolare si citava lo scenario italiano, che a questo punto deduco essere la punta di diamante del prodotto in questione.
PRO:
- Raggiunge il massimo dell'esperienza in poche ore di gioco;
- Tema mai visto prima;
- Meccaniche uniche, che portano alle estreme conseguenze quel tipo di gioco simulativo che non mostra, ma fa vivere ai giocatori il tema trattato.
CONTRO:
- Il gioco è quasi un documentario. È interessante, ma è anche in qualche modo divertente?
SINTESI:
Senza alcuna ombra di dubbio Dog Eat Dog scopre una nuova vetta nel panorama dei giochi di ruolo, e lascia aperto un passaggio per possibili esplorazioni future di questa tipologia di gioco, atipica eppure importante. Finora questo approccio al gioco è stato utilizzato per portare i giocatori a esperienze caciarone e divertenti in modo quasi imbarazzante (è il caso per esempio di Grandi Dèi Orki, di cui sono un grande detrattore, o di Sea Dracula, che non avrò MAI il coraggio di giocare), mentre Dog Eat Dog tenta una strada diversa, che conduce i giocatori alla scoperta di un tema pressochè inedito per il giocatore medio occidentale, eppure moderno e importante se vissuto dal punto di vista di chi è stato colonizzato. Chissà questo percorso dov'è destinato a portare. La mia idea è che la nomination al Diana Jones sia stata più che meritata.